Concetti filosofici di essere, avere e consumare

La problematica del concetto di essere è resa ancora più complessa dal fatto che l’essere ha costituito l’argomento di migliaia e migliaia di testi filosofici, e « che cosa significa essere? » è stata una delle domande cruciali della filosofia occidentale. In questa sede, il concetto di essere sarà esaminato dal punto di vista antropologico e psicologico, ma com’è ovvio la problematica filosofica non può non essere correlata ai problemi antropologici. Poiché d’altra parte anche solo un breve accenno allo sviluppo del concetto di essere nella storia della filosofia dai presocratici ai moderni trascenderebbe i limiti prefissati di questo libro, mi limiterò a soffermarmi brevemente su un unico aspetto fondamentale: il concetto di processo, attività e movimento quale costituente dell’essere. Come ha sottolineato Georg Simmel, l’idea che l’essere implica mutamento, vale a dire che essere è divenire, ha avuto i suoi massimi e più decisi assertori agli esordi e al culmine della filosofia occidentale: in Eraclito e in Hegel.
La tesi secondo cui l’essere è una sostanza permanente, atemporale e immutabile e diametralmente opposta al divenire, quale trova espressione in Parmenide, in Platone e nei « realisti » della Scolastica, ha senso soltanto nel quadro della nozione idealistica che un pensiero (idea) costituisca la realtà ultima. Se l’idea di amore (nell’accezione platonica) è più reale che non l’esperienza dell’amare, è legittimo affermare che l’amore come idea è permanente e immutabile. Ma, quando partiamo dalla realtà degli esseri umani che esistono, amano, soffrono, dobbiamo constatare che non si dà essere il quale non sia in pari tempo in divenire e mutevole. Le strutture viventi possono essere soltanto se divengono; possono esistere soltanto se mutano. Trasformazione e crescita sono qualità inerenti al processo vitale.

La radicale concezione della vita di Eraclito e di Hegel, quale un processo e non una sostanza, trova, nel mondo orientale, un parallelo nella filosofia del Buddha. Nel pensiero buddhista non c’è posto per il concetto di qualsivoglia sostanza permanente, duratura, si tratti di cose o del sé. Nulla è reale all’infuori dei processi. 1.(1. Z. Fišer, uno dei più importanti anche se poco noti filosofi cecoslovacchi, ha istituito un nesso tra il concetto buddista di processo e l’autentica filosofia marxiana. Purtroppo, l’opera è stata pubblicata soltanto in cecoslovacco, e di conseguenza è risultata inaccessibile a gran parte dei lettori occidentali. A me è nota da una traduzione inglese eseguita a mio uso.) Il pensiero scientifico contemporaneo ha promosso la rinascita dei concetti filosofici di « pensiero come processo », scoprendoli e applicandoli alle scienze naturali.

Avere e consumare

Prima di passare all’esame di alcuni semplici esempi delle modalità esistenziali dell’avere e dell’essere, è opportuno ricordare un’altra manifestazione dell’avere, quella dell’incorporazione. Incorporare una cosa, ad esempio mangiando o bevendo, costituisce una forma arcaica di possesso della cosa stessa. In una certa fase del suo sviluppo, il bambino mostra la tendenza a mettersi in bocca le cose che desidera; si tratta della forma infantile di presa di possesso, che si manifesta allorché lo sviluppo fisico del bambino non è ancora sufficiente a permettergli altre forme di controllo di quei possessi. Lo stesso rapporto tra incorporazione e possesso è reperibile in molte forme di cannibalismo. A esempio, divorando un altro essere umano ne acquisisco i poteri (per tale motivo, il cannibalismo può essere l’equivalente magico dell’acquisizione di schiavi); mangiando il cuore di un uomo valoroso, ne acquisisco il coraggio; mangiando un animale totemico, faccio mia la sostanza divina simboleggiata dall’animale totemico stesso.

Com’è ovvio, la stragrande maggioranza degli oggetti non possono venire fisicamente incorporati (e, nella misura in cui potrebbero esserlo, andrebbero nuovamente perduti in seguito al processo di eliminazione). Ci sono però anche incorporazioni simboliche e magiche. Se credo di aver incorporato l’immagine di un dio, di un padre o di un animale, essa non può né essermi portata via né eliminata; inghiotto simbolicamente l’oggetto e credo nella sua presenza simbolica dentro di me. È, così, per fare un esempio, che Freud spiegava il Super-io: quale introiettata somma totale delle proibizioni e comandamenti del padre. Un’autorità, un’istituzione, un’idea, un’immagine, possono essere introiettate allo stesso modo: io le ho, per sempre protette e difese, per così dire, nelle mie viscere. (« Introiezione » e « identificazione » sono spesso usati come sinonimi, ma è difficile stabilire se costituiscono davvero lo stesso processo. Comunque sia, non si dovrebbe usare a casaccio il termine « identificazione », laddove sarebbe più opportuno parlare di imitazione o subordinazione.)

Si danno molte altre forme di incorporazione che non sono collegate a bisogni filosofici e pertanto non sono limitate. L’atteggiamento implicito nel consumismo è quello dell’inghiottimento del mondo intero. Il consumatore è un eterno lattante che strilla per avere il poppatoio: una condizione che assume ovvia evidenza in fenomeni patologici come l’alcolismo e l’assuefazione alle droghe. A quanto sembra, isoliamo entrambe queste due forme di tossicomania perché i loro effetti interferiscono con i doveri sociali della persona che ne è affetta. Il tabagismo non è allo stesso modo effetto di censura perché, pur essendo anch’esso una tossicomania, non ostacola le funzioni sociali del fumatore, ma ha effetti, eventualmente, « soltanto » sulla durata della sua esistenza.

Più avanti, ci occuperemo ancora delle molte forme di consumismo quotidiano; qui, mi limito a rilevare che, per quanto riguarda il tempo libero, automobili, televisione, viaggi e sesso costituiscono i principali oggetti dell’odierno consumismo; ne parliamo come di attività del tempo libero, ma faremmo meglio a definirle passività del tempo libero. Per riassumere: consumare è una forma dell’avere, forse quella di maggior momento per l’odierna società industriale opulenta. Il consumo ha caratteristiche ambivalenti: placa l’ansia, perché ciò che uno ha non può essergli ripreso; ma impone anche che il consumatore consumi sempre di più, dal momento che il consumo precedente ben presto perde il proprio carattere gratificante. I consumatori moderni possono etichettare se stessi con questa formula: io sono = ciò che ho e ciò che consumo.

Brano estratto da “Avere o Essere?” di Erich Fromm

Erich Seligmann Fromm (Francoforte sul Meno, 23 marzo 1900 – Locarno, 18 marzo 1980) è stato uno psicoanalista e sociologo tedesco.