La natura dell’esperienza di coscienza

La sfida principale per una scienza della coscienza è quella di riuscire a spiegare l’esperienza associata agli eventi cognitivi. A volte gli studiosi delle scienze cognitive indicano i diversi stati di esperienza cosciente col termine gualia, che sta a significare che ciascuno di questi stati è caratterizzato da un particolare «senso qualitativo».

In un articolo – spesso citato – del filosofo David Chalmers, la sfida consistente nello spiegare questi qualia viene chiamata «il diffìcile problema della coscienza».

Dopo aver considerato la scienza cognitiva tradizionale, Chalmers afferma che essa non riesce a spiegare perché certi processi neurali diano adito al sorgere dell’esperienza.

«Per render conto dell’esperienza cosciente» conclude il filosofo «dobbiamo introdurre nella nostra spiegazione un ulteriore elemento.»

Questa affermazione ci riporta alla mente il dibattito tra meccanicisti e vitalisti a proposito della natura dei fenomeni biologici, dibattito sviluppatosi nel corso dei primi decenni del Ventesimo secolo. Se i meccanicisti sostenevano la possibilità di spiegare tutti i fenomeni biologici nei termini delle leggi della fisica e della chimica, i vitalisti ritenevano invece che a queste leggi occorresse aggiungere una «forza vitale» come ulteriore «ingrediente» non-fisico necessario a render conto dei fenomeni biologici.

L’intuizione che emerse da questo dibattito (e che venne però formulata soltanto diversi decenni più tardi) è che, se vogliamo spiegare i fenomeni biologici, dobbiamo tener conto anche della complessa dinamica non lineare delle reti viventi.

È possibile comprendere pienamente i fenomeni biologici soltanto se ci accostiamo a essi tenendo uniti tre differenti livelli di descrizione: quello della biologia osservativa, quello delle leggi della fisica e della biochimica, e quello della dinamica non lineare dei sistemi complessi.

Mi sembra che gli scienziati che si dedicano allo studio dei processi cognitivi si trovino in una situazione molto simile a questa, anche se a un diverso livello di complessità. L’esperienza cosciente è un fenomeno emergente, e quindi non può essere spiegato nei semplici termini dei meccanismi neurali. L’esperienza emerge dalle complesse dinamiche non lineari delle reti neurali, e possiamo riuscire a spiegarla soltanto se uniamo la conoscenza del livello neurobiologico con la comprensione di tali dinamiche.
Per raggiungere una piena comprensione della coscienza, dobbiamo accostarci a essa attraverso un’attenta analisi dell’esperienza cosciente; della fisica, della biochimica e della biologia del sistema nervoso; e delle dinamiche non lineari delle reti neurali. Potremo formulare un’autentica scienza della coscienza solo quando comprenderemo come sia possibile unire questi tre livelli di descrizione in ciò che Francisco Varela ha definito il «triplice intreccio» della ricerca sulla coscienza.

Quando ci avviciniamo allo studio della coscienza intrecciando assieme l’esperienza, la neurobiologia e la dinamica non lineare, il «difficile problema» si trasforma nella sfida di comprendere e accettare due nuovi paradigmi scientifici.

Il primo di essi è il paradigma della teoria della complessità. Dato che la maggior parte degli scienziati sono abituati a lavorare con modelli lineari, essi sono spesso riluttanti ad abbracciare l’orizzonte non lineare della teoria della complessità, e non riescono, se non con molta difficoltà, a rendersi pienamente conto delle implicazioni della dinamica non lineare. Ciò vale, in particolar modo, in relazione al fenomeno dell’emergenza.

Può sembrare un po’ misterioso che l’esperienza debba emergere da processi neurofisiologici. Comunque, ciò è tipico dei fenomeni emergenti. L’emergenza porta infatti alla creazione di novità, e questa novità è spesso qualcosa di qualitativamente differente dai fenomeni da cui è affiorata. Per illustrare questo fatto, possiamo ricorrere a un esempio ampiamente conosciuto, tratto dalla chimica: la struttura e le proprietà dello zucchero.
Quando gli atomi di carbonio, ossigeno e idrogeno si legano in un certo modo, formando lo zucchero, il composto che ne risulta ha un sapore dolce. Questa dolcezza non risiede né in C, né in O, né in H: risiede invece nello schema che emerge dalla loro interazione. Si tratta di una proprietà emergente. Inoltre, per esprimerci in un senso più rigoroso, la dolcezza non è una proprietà dei legami chimici. Essa è infatti un’esperienza sensoriale che sorge quando le molecole di zucchero interagiscono con la chimica delle nostre papille gustative, che, a loro volta, attivano in un determinato modo una serie di neuroni. L’esperienza della dolcezza emerge da quell’attività neurale.
Pertanto, quando ci limitiamo ad affermare che la proprietà caratteristica dello zucchero è la sua dolcezza, in realtà ci riferiamo a una serie di fenomeni emergenti che si situano a differenti livelli di complessità. Quando identificano una certa classe di composti come zuccheri basandosi sulla loro dolcezza, i chimici non incontrano problemi concettuali di fronte a questi fenomeni emergenti. Allo stesso modo, i futuri studiosi delle scienze cognitive non avranno problemi concettuali con altri tipi di fenomeni emergenti quando li analizzeranno nei termini di determinati processi biochimici e neurobiologici e, allo stesso tempo, nei termini dell’esperienza cosciente che da essi risulta.
Per far questo, comunque, gli scienziati dovranno accettare un ulteriore nuovo paradigma, consistente nel riconoscere che l’analisi dell’esperienza vissuta – ossia, dei fenomeni soggettivi – dev’essere parte integrante di qualunque scienza della coscienza. Ciò implica un profondo cambiamento metodologico, che molti scienziati dediti allo studio dei processi cognitivi sono restii ad abbracciare, e che si trova alla radice stessa del «difficile problema della coscienza».

Questa grande riluttanza degli scienziati di fronte ai fenomeni soggettivi è parte della nostra eredità cartesiana.

La distinzione posta da Descartes fra mente e materia, fra io e mondo, ci ha fatto credere che il mondo possa essere descritto oggettivamente, ossia senza mai menzionare l’osservatore umano. Una simile descrizione oggettiva della natura è poi diventata l’ideale di tutte le scienze.

Tuttavia, tre secoli dopo Descartes, la teoria quantistica ci ha mostrato come, quando abbiamo a che fare con i fenomeni atomici, non ci è più possibile mantenere questo ideale classico di una scienza obiettiva. E, in tempi più recenti, la teoria di Santiago della cognizione ha chiarito come la cognizione stessa non consista nella semplice rappresentazione di un mondo esistente indipendentemente dal soggetto, quanto piuttosto nel «far emergere» un mondo attraverso il processo della vita.

Siamo giunti a comprendere come la dimensione soggettiva sia sempre implicita nella pratica della scienza, anche se generalmente non viene esplicitata. In una scienza della coscienza, invece, alcuni degli stessi dati da esaminare sono di natura soggettiva, sono delle esperienze interiori. Per raccogliere e analizzare sistematicamente questi dati, dobbiamo ricorrere a un esame metodico dell’esperienza soggettiva fatta in prima persona. Solo quando un tale esame diventerà parte integrante dello studio della coscienza, quest’ultimo meriterà propriamente il nome di «scienza della coscienza».

Ciò non significa, però, che dobbiamo abbandonare il rigore scientifico. Quando parliamo di una «descrizione oggettiva» in ambito scientifico, ci riferiamo innanzitutto a un corpo di conoscenze che sia ben definito e strutturato secondo le regole della ricerca scientifica collettiva, piuttosto che non a una semplice raccolta di osservazioni individuali. Anche quando l’oggetto di ricerca consiste in resoconti personali di esperienze di coscienza, non si dovrà quindi abbandonare quella convalida intersoggettiva che costituisce la pratica standard in ambito scientifico.

Fritjof Capra, fisico e saggista, è direttore del “Center for Ecoliteracy” a Berkeley, in California. È autore di numerosi libri sugli aspetti filosofici del metodo scientifico, tra i quali il bestseller mondiale Il Tao della fisica (Adelphi 1982), La rete della vita (BUR 2001), Tra scienza e vita (BUR 2009), La scienza universale (BUR 2009).