La visita all’Ade

Plutarco parla di antri o stanze ( mégara o adita) dove erano calate offerte. Eusebio narrerà che Costantino aveva fatto sistematicamente esplorare questi ridotti sotterranei, antri di ninfe, di Mitra, di Attis, di Cibele, ingressi all’Ade, caverne natali di Zeus; ma sicuramente non gli sarebbe bastato l’esercito romano per indagarli tutti! Damascio nella Vita di Isidoro accenna ai fiumi sotterranei nelle caverne, che stavano per lo Stige. Da queste notizie, che sovrabbondano nella patristica, è dato comprendere la visita all’Ade in Omero e Virgilio e si può forse intendere l’episodio di Matteo, lo scoperchiamento dei sepolcri dopo la morte di Gesù: le visite allo Še’ol erano offerte a tutti. E proprio in concomitanza con lo sprofondamento di Gesù si offriva la calata. Per la visita serviva una guida: Thot, Ermete, più tardi Virgilio o Michele o una vecchierella ispirata, la Sibilla, specie la Cumea o Inanna, di cui parla il pavimento della cattedrale di Siena col cartiglio Et mortis fatum, fini et trium dierum somno suscepto lune initium ostendens in lucetti veniet primum resurrectionis, « sino al fato di morte e dopo aver fatto un sonno di tre giorni, allora mostrando l’inizio, verrà alla luce il principio della resurrezione».

Ci furono anche segni eloquenti al tempio di Gerusalemme, dove si lacerò il velo, nonché indizi celesti come il sole coperto. Accompagnando insieme a Gesù la discesa nell’Ade, tutti avrebbero rifatto il percorso di Odisseo e di Enea. Il Vangelo di Nicodemo narra che due figli del Sommo Sacerdote Simeone, Lucio e Carino, corrono a Gerusalemme ad annunciare il trionfo di Gesù nello Še’ol. Lo avevano veduto e venivano a testimoniarne.

La visita all’Ade era dunque un’esperienza abbastanza comune: Gesù vi scese e fu veduto mentre attraversava i torrenti inferi, quindi spingeva in alto Adamo, Eva e i patriarchi salvati. Intanto altri lo scorgeva per le stradine di campagna che si accompagnava ai vecchi discepoli e mangiava con loro: nello stesso momento appariva sottoterra e risorto sulla terra.

Nella pittura senese, ancora prossima alla bizantina, spicca il capolavoro di Pietro di Sano, sito nella chiesa della collegiata a San Quirico d’Orda. Nella triangolare capriata che sovrasta il quadro stesso figurano due scomparti, a sinistra, sede della potenza, Gesù è dipinto che risorge col vessillo crociato in pugno; a destra invece, sede dell’atto, sempre impugnando quelvessillo bianco crociato di rosso, scende nell’Ade.

Resta da porsi un quesito preliminare. Che cosa si prova quando il salire e lo scendere si alternano sino a confondersi l’uno con l’altro?

La vertigine, che segue di norma ogni allenamento sportivo a prova di equilibrio, qualsiasi preparazione di mestiere a condizioni difficili, come l’arte del muratore a grandi altezze. Di per sé la vertigine non reca vantaggi, è una semplice denuncia di impreparazione; soltanto sopprimendone lo smarrimento si procede davvero al di là della norma comune. La semplice successione spasmodica, che fa rasentare la nausea e il vomito, è conquista da mestierante di certi sport, da muratorello. Allo sgomento per il rischio nel quale si è proiettati, deve succedere l’abitudine ormai connaturata al patimento, che lo cancella. Si sta salendo o scendendo? Questa domanda deve ricevere risposta, e nitida. Il fatto di non poterla dare è la prova che si è entrati nella condizione equivalente al martirio: non si sa; si sta visitando l’Ade o Še’ol o si sta salendo nei cieli? Si vive contemporaneamente nella bassura e nelle altezze. Si è sottoposti a tortura e sollevati al punto dove la percezione del dolore cessa o è travolta dall’afflusso di intensità sensibile, dalla piena di gioia.

Occorre rammentare l’orrore che denuncia ancora Immanuel Romano, il famoso amico di Dante, quando nel suo Inferno declama contro coloro che non sono attratti da Dio e dai suoi pii, i cui cuori non ragionano e i cui occhi sono offuscati «come avessero stretto un patto con lo Še’ol ».

Quale concezione ebbero gli antichi della vita sensibile dopo la morte? Vivacchiare stentato di ombre fra ombre, mortificazione sommamente penosa, tedioso ripetere di ciò che si è già vissuto in pieno e si conosce già a fondo: visitare le dimore dei defunti è una prova straziante, si compie per raccogliere conoscenze, giusto per incontrare chi non si è avuta occasione di frequentare e per riceverne ammonimenti, in un’atmosfera psichica tumultuante di vendette non raggiunte, di stizze non placate; l’aria dei morti vibra di parole strappate ai deliri dell’ultima ora. L’irruzione dei defunti nel mondo dei vivi produceva sgomento e orrore, parlavano in maniere combinate e oltraggiose, facevano gesti puerili e minacciosi, formavano un esercito di vendicatori sinistri.

Torturavano, non soltanto con la paura che la loro presenza incuteva naturalmente, ma con l’abuso di anarchici gesti sevizianti. Era questa parte della visita all’Ade che occorreva rammentare e il torturatore pretorio romano gettava nello sgomento causato da questo contatto doloroso, ma l’allucinazione contraria faceva da leva e cessava il dolore della ferita.

 

Testo estratto da “Discesa all’Ade e Resurrezione” di Elémire Zolla

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera:

« Uscire dallo spazio che su di noi hanno incurvato secoli e secoli è l’atto più bello che si possa compiere »

Elémire Zolla (Torino, 9 luglio 1926 – Montepulciano, 29 maggio 2002) è stato uno scrittore, filosofo e storico delle religioni italiano, conoscitore di dottrine esoteriche e studioso di mistica occidentale e orientale.