Il simbolismo dei mandala

Psicologia e Alchimia

Capitolo 3
Il simbolismo dei mandala

  1. I Mandala

Ho già detto che da una serie continuativa e coerente di quattrocento sogni, ho scelto e raggruppato tutti quelli che considero sogni di mandala. Il termine mandala fu scelto perché questa parola designa il circolo rituale o magico che viene usato, particolarmente nel lamaismo e anche nello yoga tantrico, come yantra, come strumento di contemplazione (fìg. 1). I mandala orientali, nel loro uso cultuale, sono figure tradizionalmente fissate che vengono non soltanto disegnate o dipinte, ma anche plasticamente rappresentate in determinate festività. nota 1

Śrī-Yantra
Śrī-Yantra

Figura 1
Śrī-Yantra

Nel 1938 ho avuto l’occasione di parlare del mandala (khilkor) con un rimpoche lamaista, Lingdam Gomchen, nel convento di Bhutia Busty. nota 2
Questi mi disse che era un dmigs-pa (pronuncia: migpa), un’immagine mentale che può essere elaborata mediante l’immaginazione soltanto da un lama istruito. Mi disse che nessun mandala è uguale a un altro: sono tutti individualmente diversi. E che i mandala che si vedono nei templi e nei monasteri non hanno alcun significato particolare, poiché sono solo rappresentazioni esteriori. Che il vero mandala è sempre un’immagine interiore che viene gradatamente costruita dall’immaginazione (attiva), e precisamente quando è presente un disturbo dell’equilibrio psichico, o quando non si può ritrovare un pensiero e bisogna quindi cercarlo perché non è contenuto nella sacra dottrina. Fino a che punto questa spiegazione sia pertinente, risulterà nel corso di quanto esporrò in seguito. Che la creazione sia libera e individuale, è un’affermazione che va presa cum grano salis, poiché in tutti i mandala lamaistici predominano non soltanto un certo stile non misconoscibile, ma anche una struttura tradizionale. È sempre, per esempio, un sistema quaternario, una quadratura circuli, e i suoi contenuti provengono tutti dalla dogmatica lamaistica. Esistono testi come il Śrī-Chakra-Sambhāra-Tantra nota 3 che contengono indicazioni per la costruzione di questa “immagine mentale”. Dal khilkor viene tenuto strettamente distinto il cosiddetto sidpe-korlo, la ruota dell’universo (fig. 2), che rappresenta il corso delle forme umane di esistenza secondo la concezione buddhistica. Contrariamente al khilkor, la ruota del mondo consiste in un sistema ternario: al centro si trovano i tre princìpi del mondo, e precisamente il gallo = concupiscenza, il serpente = odio o invidia, e il maiale = ignoranza o inconsapevolezza (avidyā). Ci imbattiamo qui nel “dilemma del Tre e del Quattro”, che svolge un ruolo anche nel buddhismo. Incontreremo di nuovo questo problema più avanti a proposito della nostra serie di sogni.

Ruota dell’universo” (sidpe-korlo) tibetana
Ruota dell’universo” (sidpe-korlo) tibetana

Figura 2
“Ruota dell’universo” (sidpe-korlo) tibetana

Per conto mio, non esiste alcun dubbio che in Oriente questi simboli sono sorti originariamente da sogni e visioni, e che certo non furono inventati da qualche padre della chiesa del Mahāyāna. Al contrario, essi appartengono ai più antichi simboli religiosi dell’umanità (figg. 3, 4, 5, 6) e si possono incontrare già forse nel Paleolitico (vedi i disegni rupestri rodesiani). Inoltre hanno una diffusione universale, sulla quale però non vorrei insistere qui. In questo capitolo vorrei soltanto mostrare, basandomi su materiale empirico, come i mandala si formano.

Nel loro uso cultuale, i mandala hanno grande importanza, perché il loro centro contiene di regola una figura di supremo valore religioso: o lo stesso Śiva, spesso abbracciato alla Śakti, o Buddha, Amitabha, Avalokiteśvara, o uno dei grandi maestri del Mahāyāna oppure semplicemente il dorje, simbolo della concentrazione di tutte le forze divine di natura creativa o distruttiva (fig. 5). Il testo del Fiore d’oro, che proviene dal sincretismo taoista, ricorda anche certe qualità specificamente “alchimistiche” di questo centro, nel senso delle qualità del Lapis e dell’elixir vitae, dunque di un φάρμαϰον ἀϑανασίας. nota 4

La “grande pietra del calendario” messicana
La “grande pietra del calendario” messicana

Figura 3
La “grande pietra del calendario” messicana

Mandala contenente Cristo bambino che porta la croce
Mandala contenente Cristo bambino che porta la croce

Figura 4
Mandala contenente Cristo bambino che porta la croce

 

Vajramandala lamaistico
Vajramandala lamaistico

Figura 5
Vajramandala lamaistico

Pittura murale di Albertus Pictor nella chiesa di Härkeberga (Svezia, 1480 circa)

Vajramandala lamaistico.

 

Calendario messicano
Calendario messicano

Figura 6
Calendario messicano

Sapere dell’alta stima di cui i mandala godono non è senza importanza; essa concorda infatti con il significato centrale dei simboli dei mandala individuali, ai quali sono proprie queste stesse qualità di natura per così dire “metafisica”: nota 5 essi denotano infatti, se non mi inganno, un centro psichico della personalità che non è identico all’Io. Ho osservato questi processi e queste figurazioni per vent’anni di seguito, su un materiale empirico relativamente abbondante. Per quattordici anni di essi non ho scritto, né parlato pubblicamente, per non pregiudicare le mie osservazioni. Quando però nel 1929 Richard Wilhelm mi mise davanti agli occhi il testo del Fiore d’oro, decisi di pubblicare, almeno per sommi capi, i risultati delle mie osservazioni. In questi campi non si può mai essere abbastanza prudenti: l’istinto di imitazione da un lato, e dall’altro una bramosia veramente morbosa di appropriarsi di piumaggi altrui per camuffarsi esoticamente, inducono un numero troppo grande di persone a buttarsi su motivi “magici” di questo genere per farne un uso esterno, come di una pomata. Si fa di tutto, anche le cose più strane, pur di sfuggire alla propria anima. Si compiono esercizi di yoga indiano di qualsiasi osservanza, si seguono regimi alimentari, si impara a memoria la teosofia, si ripetono i testi mistici della letteratura mondiale – tutto, perché non si sa affrontare sé stessi, e perché a gente simile manca ogni fiducia che dalla loro anima possa scaturire qualcosa di utile. Così gradatamente l’anima è diventata quella Nazareth dalla quale non può nascere nulla di buono: per questa ragione la si va cercando ai quattro venti, e quanto più è lontana e bizzarra, tanto meglio è. Non vorrei naturalmente disturbare tali persone nei loro svaghi; quando però c’è qualcuno che aspira a esser preso sul serio, ma è così accecato da ritenere che io applichi metodi e dottrine yoga e forse addirittura che io faccia disegnare mandala ai miei pazienti per portarli al “punto giusto”, allora mi sento costretto a protestare e a rinfacciare a costoro di aver letto i miei scritti con una mancanza d’attenzione veramente imperdonabile. La teoria che tutti i cattivi pensieri vengono dal cuore e che l’anima umana è il pozzo di ogni nequizia è penetrata loro fino al midollo. Se così fosse, Dio avrebbe fatto un lavoro creativo ben misero, e sarebbe veramente ora di cambiar strada per seguire Marcione lo gnostico, e dare il benservito all’incapace demiurgo. È vero che moralmente è oltremodo comodo lasciare a Dio di occuparsi di tutta l’assistenza necessaria a un asilo infantile di idioti nel quale nessuno è capace di mettersi in bocca il cucchiaio da solo. L’uomo merita che egli si occupi di sé stesso, e nell’anima sua ha quel tanto che basta a cavarne qualcosa. nota 6

Merita osservare pazientemente ciò che avviene in silenzio nell’anima, e le cose più grandi e più buone hanno luogo quando non vengono regolamentate dall’esterno e dall’alto. Lo ammetto: ho un rispetto tale di ciò che si svolge nell’anima umana che avrei paura di disturbare e di deformare con goffi interventi il silenzioso operato della natura. Questa è la ragione per la quale ho rinunciato in questo caso perfino all’osservazione mia propria, e ho affidato questo compito a una principiante, libera ancora del peso del mio sapere, pur di non disturbare. I risultati che presento sono autosservazioni pure, coscienziose ed esatte di una persona di intelletto saldo e imperturbato, cui nessuno ha suggerito nulla, e che del resto non si sarebbe lasciata suggerire nulla. I veri esperti di materiali psichici riconosceranno perciò senza difficoltà l’autenticità e l’immediatezza dei risultati.

Ermete come guida delle anime
Ermete come guida delle anime

Figura 7
Ermete come guida delle anime Gemma di anello romano

Drago incoronato che mangia la propria coda
Drago incoronato che mangia la propria coda

Figura 8
Drago incoronato che mangia la propria coda – Eleazar, Uraltes chymisches Werk (1760)

 

Cerchio formato da due draghi; nei quattro angoli: i segni dei quattro elementi
Cerchio formato da due draghi; nei quattro angoli: i segni dei quattro elementi

Figura 9
Cerchio formato da due draghi; nei quattro angoli: i segni dei quattro elementi. Eleazar, Uraltes chymisches Werk (1760)

 

Note

1 Rinvio il lettore a Zimmer, nonché a Wilhelm e Jung, Il segreto del fiore d’oro cit.

2 Nelle vicinanze di Darjeeling.

3 [Avalon (1919) cap. 7.]

4 Ossia bevanda che dà l’immortalità. Vedi Reitzenstein (1910).

5 Le virgolette significano che il termine “metafisico” non implica un’affermazione assoluta, ma è da me usato in senso figurato, psicologico, in quanto caratterizzo con esso le attestazioni proprie dei sogni.

6 Come dice Maestro Eckhart: “Poiché è dentro, non fuori, ma tutto dentro” (vedi Pfeiffer, 1845-57, vol. 2, pp. 8 e 37).

 

Estratto da “Psicologia e alchimia” di Carl Gustav Jung

L’esposizione junghiana della teoria dei rapporti intercorrenti tra alchimia e inconscio si trova in varie sue opere che abbracciano un arco di tempo che va dai primi anni 1940 a praticamente fino alla sua morte avvenuta nel 1961:

Psicologia e alchimia (1944)
Psicologia del transfert (1946)
Saggi sull’alchimia (1948)
Mysterium Coniunctionis (1956).

Carl Gustav Jung (Kesswil, 26 luglio 1875 – Küsnacht, 6 giugno 1961) è stato uno psichiatra, psicoanalista e antropologo svizzero.

La sua tecnica e teoria, di derivazione psicoanalitica, è chiamata “psicologia analitica” o “psicologia del profondo”, raramente “psicologia complessa”.[1]

Inizialmente vicino alle concezioni di Sigmund Freud, se ne allontanò nel 1913, dopo un processo di differenziazione concettuale culminato con la pubblicazione, nel 1912, di La libido: simboli e trasformazioni.

fonte delle note a margine voce Wikipedia