Struttura economica e ideologica della società tedesca nel 1928 / 1933

Sul piano razionale ci si dovrebbe attendere che nelle masse dei lavoratori economicamente cadute in miseria si sviluppi una chiara consapevolezza della loro condizione sociale, che in esse maturi la volontà di eliminare la miseria sociale. Allo stesso modo ci si dovrebbe attendere che il lavoratore che si trova in una situazione di miseria sociale si ribelli contro questo maltrattamento e dica: «In fondo io sono un sostegno responsabile del lavoro sociale. La buona e la cattiva sorte della società poggiano su di me e sui miei simili . Assumo su di me la responsabilità del lavoro». In questo caso il pensiero («coscienza») del lavoratore corrisponderebbe alla sua condizione sociale. Il marxista lo chiamava «coscienza di classe». Noi lo chiameremo «coscienza di operaio specializzato» oppure «coscienza di responsabilità sociale». Ora, la frattura tra la condizione sociale delle masse lavoratrici e la coscienza che ne hanno significa che le masse lavoratrici, anziché migliorare la loro condizione sociale, la peggiorano. Sono state proprio le masse impoverite che hanno contribuito alla presa del potere da parte del fascismo, cioè della estrema reazione politica .Si tratta del problema del ruolo svolto dall’ideologia e dell’atteggiamento di queste masse come fattore storico, della
«ripercussione dell’ideologia sulla base economica».
Se l’impoverimento materiale di larghi strati della popolazione non ha condotto a un rivoluzionamento nel senso della rivoluzione sociale; se dalla crisi, obiettivamente, sono scaturite ideologie contrarie alla rivoluzione, allora lo sviluppo dell’ideologia della massa ha frenato negli anni critici lo «sviluppo delle forze produttive», la «soluzione rivoluzionaria della contraddizione fra forze produttive dei capitalismo monopolistico e il suo modo di produzione», se vogliamo impiegare termini marxisti . La suddivisione delle classi in Germania (secondo Kunik, “Versuch einer Feststellung der sozialen Gliederung der deutschen Bevölkerung”, «Die Internationale», 1928, compilato da Lenz, “Proletarische Politik”, Internationaler Arbeiterverlag, 1931) dava il seguente quadro:
Lavoratori dell’industria: 21,789 migliaia; con famiglia 40,7 milioni .
Media borghesia urbana: 6,157 migliaia; con famiglia 10,7 milioni .
Contadini piccoli e medi: 6,598 migliaia; con famiglia 9,0 milioni .
Borghesia (compresi i proprietari terrieri e contadini ricchi): 718 migliaia; con famiglia 2,0 milioni .
Popolazione (senza bambini e massaie): 35, 262 migliaia; totale 62,4 milioni .
Strati del ceto medio urbano .
Strati inferiori del commercio e dell’artigianato (lavoratori a domicilio, gestori, singoli artigiani e ditte con non più di due dipendenti): 1,916 migliaia .
Artigiani e commercianti con tre o più dipendenti: 1,403 migliaia .
Impiegati di concetto e funzionari: 1, 763 migliaia .
Liberi professionisti e studenti: 0,431 migliaia .
Beneficiari di piccole rendite e piccoli proprietari: 0.644 migliaia .
Totale: 6,157 migliaia .
Strati della classe lavoratrice .
Lavoratori dell’industria, dei trasporti, del commercio eccetera: 11,826 migliaia .
Lavoratori agricoli: 2,607 migliaia .Lavoratori a domicilio: 0,138 migliaia .
Domestici: 1,326 migliaia .
Pensionati dell’istituto d’assicurazione sociale: 1,717 migliaia .
Impiegati inferiori (fino a 250 marchi al mese): 2,775 migliaia .
Funzionari inferiori (+ pensionati): 1,400 migliaia .
Totale: 21,789
Strati medi della campagna .
Piccoli coltivatori diretti e fittavoli (fino a 5 ettari di terra): 2,366 migliaia .
Coltivatori diretti medi (5-50 ettari di terra): 4,232 migliaia .
Totale: 6,598 migliaia .
Questi dati si riferiscono al censimento della Germania del 1925 .
Bisogna però tener presente che questi dati riflettono soltanto la stratificazione relativa alla condizione socio-economica, e non quella ideologica che era diversa.
“Socio-economicamente quindi” la Germania del 1925 comprendeva:
Lavoratori: occupati 21,789
milioni; con famiglia 40,7 milioni .
Ceto medio: occupati 12,7555 milioni; con famiglia 19,7 milioni .
Invece la struttura “ideologica” era approssimativamente la seguente:
Lavoratori dell’industria, del commercio, dei trasporti eccetera e lavoratori agricoli: 14,433 milioni .
Ceto medio piccolo-borghese: 20,111 milioni .
Lavoratori a domicilio (produzione individuale): 138 migliaia .
Domestici: 1,326 migliaia .
Pensionati dell’istituto di assicurazione sociale: 1,717 migliaia .
Impiegati inferiori (rilevamenti fatti in grosse aziende, p.e. alla
«Nordstern» di Berlino): 2,775 migliaia . Funzionari inferiori (p.e. revisori fiscali, impiegati della posta): 1,400 migliaia .
Totale: 7,356 (di «proletari economici») .
Ceto medio urbano: 6,157 migliaia .
Ceto medio agricolo: 6,598 migliaia .
Totale: 20,111 migliaia .
Ora, anche ammettendo che degli appartenenti al ceto medio -non importa quanti – possano aver votato per i partiti di sinistra e degli operai – non importa quanti – per i partiti di destra, salta all’occhio che i dati da noi calcolati della “stratificazione ideologica corrispondono all’incirca al risultati delle elezioni del1932”: i comunisti e i socialdemocratici raggiungevano in occasione delle ultime elezioni complessivamente 12-13 milioni di voti, la N.S.D.A.P. [Nationalsozialistische Deutsche Arbeiter-Partei] e i tedeschi nazionalisti circa 19-20 milioni di voti. Questo significa
che sotto l’aspetto “pratico-politico non era stata decisiva la stratificazione economica, ma quella ideologica”. Quindi il ceto medio piccolo-borghese aveva un’importanza maggiore di quella che gli veniva solitamente attribuita .
Nel periodo del rapido declino dell’economia tedesca del 1929-1932 avviene il grande balzo della N.S.D.A.P. che dagli 800 mila voti del 1928 salta a 6,4 milioni di voti nell’autunno del 1930, a 13 milioni nell’estate del 1932 e a 17 milioni nel gennaio 1933.
Secondo un calcolo di Jäger (“Hitler”, «Roter Aufbau», ottobre 1930) già i 6,4 milioni di voti nazionalsocialisti comprendevano circa 3 milioni di voti di lavoratori, di cui il 60-70% era costituito da impiegati e il 30-40% da operai .
A mio avviso, nessuno meglio di Karl Radek ha compreso l’aspetto problematico di questo processo sociologico già nel 1930, dopo il primo scatto in avanti della N.S.D.A.P.; infatti scrisse:
«Nulla di simile è mai avvenuto nella storia della lotta politica, soprattutto in un paese con un’antica differenziazione politica dove ogni nuovo partito deve lottare duramente per conquistare un posto al tavolo già occupato dai vecchi partiti. Non vi è nulla di più caratteristico del fatto che di questo partito, che occupa il secondo posto nella vita politica tedesca, non sia stato detto nulla né nella letteratura borghese né in quella socialista. E’ un partito senza storia che affiora improvvisamente nella vita politica della Germania, così come in mezzo al mare sotto la spinta di forze vulcaniche
improvvisamente emerge un’isola» . (“Deutsche Wahlen”, «Roter Aufbau», ottobre 1930) .
Non abbiamo alcun dubbio che anche quest’isola abbia la sua storia e possieda una sua logica interna .
La soluzione dell’alternativa marxista «decadenza nella barbarie» o «ascesa al socialismo» dipendeva, in base alle riflessioni formulate fin qui, dalla soluzione del dilemma della struttura ideologica delle classi dominanti. O questa struttura, infatti, era in armonia con le condizioni economiche di tali classi oppure era indipendente dalle condizioni economiche stesse: e questo sia come avviene nelle grandisocietà asiatiche, dove si verifica una forma di sopportazione passiva dello sfruttamento, sia come avviene appunto oggi in Germania, dove l’ideologia della maggioranza degli oppressi è in contrasto con le condizioni economiche dei medesimi .
Il problema fondamentale sta dunque in ciò che determina il divario appena descritto, ovvero in ciò che impedisce che condizione economica e struttura psichica delle masse coincidano. Quindi si tratta di afferrare l’essenza della struttura psicologica di massa e il suo rapporto nei confronti della base economica da cui è scaturita . Per comprendere questo, dobbiamo prima di tutto liberarci dalle concezioni del marxismo volgare che impediscono la comprensione del fascismo. Sostanzialmente sono le seguenti: Il marxismo volgare separa schematicamente l’esistenza economica dall’esistenza sociale in generale e sostiene che l’«ideologia» e la «coscienza» degli uomini vengono “direttamente” e “unicamente” determinate dall’esistenza economica. Così si arriva a una contrapposizione meccanicistica tra economia ed ideologia, fra «base» e «sovrastruttura»; il marxismo volgare rende l’ideologia dipendente in modo schematico e unilaterale dall’economia e non si rende conto che lo sviluppo dell’economia dipende anche dall’ideologia. Per questo motivo il marxismo volgare non riesce a comprendere il problema della cosiddetta «reazione dell’ideologia». Sebbene parli del «ritardo del fattore soggettivo», così come lo intendeva Lenin, non riesce a risolvere in pratica questo ritardo perché lo ha fatto scaturire in modo unilaterale dalla situazione economica senza cercare in primo luogo le contraddizioni dell’economia nell’ideologia, e in secondo luogo senza comprendere l’ideologia come forza storica .
Infatti si oppone alla comprensione della struttura e della dinamica dell’ideologia, liquidandola come «psicologia» «non marxista», e lascia che il fattore soggettivo, la cosiddetta «vita psichica» nella storia, venga impiegato dall’idealismo metafisico della reazione politica, dai Gentile e Rosenberg, secondo i quali sono soltanto lo «spirito» e l’«anima» a fare la storia, teoria con cui ebbero stranamente un immenso successo. Il fatto di trascurare questo lato della sociologia è un modo di procedere che già Marx a suo tempo criticò in linea di massima nel materialismo del diciottesimo secolo . Per il marxista volgare la psicologia è a priori un sistema metafisico ed egli non pensa nemmeno di separare il carattere metafisico della psicologia reazionaria dai suoi elementi fondamentali che vengono scoperti dalla ricerca rivoluzionaria psicologica e che noi dobbiamo continuare a sviluppare. Egli condanna anziché svolgere una critica produttiva, e si sente un «materialista» quando condanna fatti come «pulsione», «bisogno» o «processo psichico» come «idealistici». Con questo modo di fare viene a trovarsi in una situazione estremamente
difficile e non raccoglie che insuccessi perché è costretto a dover applicare nella pratica politica, continuamente, la psicologia pratica e a parlare dei «bisogni delle masse», della «coscienza rivoluzionaria», della «volontà di scioperare» eccetera. Ora, più nega la psicologia e più si trova a fare dello psicologismo metafisico e anche di peggio, come il “couéismo” sterile, spiegando per esempio una situazione storica con la «psicosi hitleriana» o consigliando alle masse di avere fiducia, che nonostante tutto si va avanti, che la rivoluzione non può essere soffocata eccetera. Infine, finisce per istillare coraggio in modo illusorio senza dire in realtà qualche cosa di concreto sulla situazione, senza comprendere ciò che è successo. Il fatto che per la reazione politica non esista mai una situazione senza via di uscita, che un’acuta crisi economica possa portare sia alla barbarie che alla libertà sociale, rimarrà sempre incomprensibile per lui. Anziché far derivare dalla realtà sociale pensieri e fatti, egli trasforma nella fantasia la realtà conformemente ai suoi desideri . La nostra psicologia politica non può essere nient’altro che la ricerca di questo «fattore soggettivo della storia», della struttura caratteriale degli uomini di una determinata epoca e della struttura ideologica della società che essa forma. Essa non si contrappone, come la psicologia reazionaria e l’economia-psicologismo, alla sociologia marxista, opponendole una «concezione psicologica» della socialità, ma si subordina e si allinea in un punto preciso alla sociologia che fa derivare la coscienza dall’essere .
La frase di Marx che ciò che è «materiale» (l’essere) nel cervello umano si trasforma in «ideale» (in coscienza), e non viceversa, lascia aperte due questioni: primo, “come” avviene questo, e cosa accade «nel cervello umano», e secondo, in che modo influisce la «coscienza» che si è creata (d’ora in poi parleremo di “struttura psichica”) sul processo economico. La psicologia analitico-caratteriale colma questa lacuna rivelando il processo della vita psichica umana che dipende dalle condizioni dell’esistenza. In questo modo essa afferra il«fattore soggettivo» che il marxista non comprende. La psicologia politica ha dunque un compito rigorosamente circoscritto. Essa non può spiegare per esempio la nascita della società divisa in classi o il modo capitalistico di produzione (nel caso tenti di farlo, il risultato è regolarmente un non-senso reazionario, per esempio che il capitalismo è una manifestazione dell’avidità degli uomini). Invece solo essa è in grado – e non la socioeconomia – di scoprire come l’uomo è strutturato caratterialmente in una determinata epoca, come pensa, agisce e come si manifestano in lui le contraddizioni della sua esistenza, come tenta di risolvere i problemi di questa sua esistenza eccetera. Però essa esamina soltanto il singolo individuo. Ma quando essa si specializza nell’esame dei processi psichici tipici e “comuni” a uno strato, una classe, un gruppo professionale eccetera, lasciando da parte ciò che differenzia ogni individuo dall’altro, allora diventa “psicologia di massa” .
Essa si riallaccia direttamente a Marx:
«I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali ci si può astrarre solo nell’immaginazione. “Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita”, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione» (“L’ideologia tedesca”, Editori Riuniti, Roma 1958, p. 17) .
«”L’uomo stesso è la base della propria produzione materiale così come di tutto ciò che compie”. Quindi tutte le circostanze che influenzano l’uomo, il soggetto della produzione, modificano più o meno tutte le sue funzioni e attività di creatore della ricchezza materiale, delle merci. Sotto questo aspetto si può infatti dimostrare che “tutti i rapporti e tutte le funzioni, sotto qualunque forma e in qualunque modo si manifestino, influenzano la produzione materiale ed esercitano una influenza più o meno determinante su di essa”»
(“Teorie sul plusvalore”) .
Non diciamo quindi nulla di nuovo e non revisioniamo Marx, come spesso ci viene rimproverato: «”Tutti” i rapporti umani», «tutti» – questo significa che vi sono compresi i rapporti del processo lavorativo così come i processi più personali e privati e le massime realizzazioni della vita pulsionale e del pensiero dell’uomo; quindi anche la “vita sessuale delle donne é degli adolescenti e dei bambini nonché i risultati finora ottenuti dalla ricerca sociologica su questi rapporti e la loro applicazione a nuovi problemi sociali”. Hitler, con un tipo preciso di questi «rapporti umani» riuscì a fare la storia, storia che non può essere eliminata ridicolizzandola. Marx non poteva sviluppare alcuna sociologia sessuale perché allora non esisteva ancora la sessuologia. Ora si tratta di inserire nell’edificio della sociologia non solo i rapporti economici ma anche quelli sessuo-economici, e di distruggere l’egemonia esercitata dai mistici e dai metafisici in questo campo .
Se una «ideologia ha un effetto retroattivo sul processo economico» deve essere diventata una forza materiale. Quando una ideologia diventa forza materiale appena raggiunge le masse, allora dobbiamo chiederci: per quale via avviene questo? Come diventa possibile l’effetto materiale di un dato di fatto ideologico, per esempio una teoria che ha un effetto rivoluzionario sul piano storico?
La risposta a questa domanda deve essere contemporaneamente la risposta alla domanda sulla psicologia reazionaria di massa, quindi sulla estirpazione della «psicosi hitleriana» L’ideologia di ogni formazione sociale non solo ha la funzione di riflettere il processo economico di quella società, ma anche quella di ancorarlo alle “strutture psichiche degli uomini di quella società” .
Gli uomini subiscono le loro condizioni di vita in modo duplice: direttamente: attraverso l’immediata influenza della loro condizione economica e sociale, e indirettamente, attraverso la struttura ideologica della società; devono quindi sempre sviluppare una contraddizione nella loro struttura psichica che corrisponde alla contraddizione tra l’influenza esercitata dalla loro condizione materiale e l’influenza esercitata dalla struttura ideologica della società. Per esempio, il lavoratore è esposto sia alla sua condizione lavorativa che alla generale ideologia della società. Ma poiché gli uomini appartenenti ai diversi strati non sono solo gli oggetti di queste influenze bensì le riproducono anche come uomini “attivi”, il loro modo di pensare e di agire deve essere contraddittorio quanto la società da cui scaturisce. Quando però “una ideologia sociale modifica la struttura psichica degli uomini, non solo essa si è riprodotta in quegli uomini, ma, cosa che è molto più importante, essa è diventata, sotto forma dell’uomo così modificato concretamente e quindi dell’uomo che ora agisce in modo diverso e contraddittorio, una forza attiva, una forza materiale”. Solo ed unicamente in questo modo diventa possibile l’effetto retroattivo dell’ideologia di una società sulla base economica da cui è scaturita. Questo «effetto retroattivo» perde il suo carattere apparentemente metafisico o imbevuto di psicologismo quando può essere afferrato nella sua forma funzionale come struttura caratteriale dell’uomo che agisce socialmente. Come tale diventa oggetto della ricerca caratteriale scientifico-naturale. La constatazione che l’«ideologia» si trasforma più lentamente della base economica richiede a questo punto una precisazione. Le strutture caratteriali che corrispondono a una precisa situazione storica si formano nei loro tratti fondamentali nella prima infanzia ed hanno un carattere molto più conservatore delle forze
produttive tecniche. Ne consegue che col tempo “le strutture psichiche rimangono indietro rispetto allo sviluppo dei rapporti sociali da cui sono scaturite e che si sviluppano rapidamente, ed entrano in conflitto con le successive forme di vita”. Questo è il tratto fondamentale della natura della cosiddetta «tradizione», cioè della contraddizione fra la situazione sociale vecchia e nuova .

Testo estratto da “Psicologia di massa del fascismo” di Wilhelm Reich

Wilhelm Reich (Dobrzcynica, 24 marzo 1897 – Penitenziario di Lewisburg, 3 novembre 1957) è stato un medico, chirurgo e psicoanalista austriaco naturalizzato statunitense.