La necessità economica di una trasformazione dell’uomo

[…] Fin qui, si è cercato di mostrare che i tratti caratteristici frutto del nostro sistema socioeconomico, vale a dire del nostro modo di vivere, sono patogeni e finiscono per produrre una personalità malata e quindi una società malata. Non manca però anche un altro argomento, che ha a fondamento un punto di vista affatto diverso, a favore di profonde trasformazioni psicologiche nell’uomo quale alternativa alla catastrofe economica ed ecologica; e l’argomento in oggetto è illustrato in due rapporti la cui elaborazione è stata affidata, dal Club di Roma, rispettivamente a D. H. Meadows e altri, e a M. D. Mesarovic ed E. Pestel. Entrambi i rapporti trattano delle tendenze tecnologiche, economiche e demografiche su scala mondiale; Mesarovic e Pestel approdano alla conclusione che soltanto mutamenti drastici, di carattere economico e tecnologico e a livello globale, secondo le direttrici di un programma preciso, possono « scongiurare una catastrofe di grandi proporzioni e infine globale », e i dati che schierano a sostegno della loro tesi si basano sulla ricerca più vasta e sistematica che sia mai stata compiuta. (Va detto che il loro libro presenta notevoli vantaggi metodologici rispetto alla ricerca di Meadows, ma questa, compiuta in precedenza, sottolinea la necessità di mutamenti economici ancora più drastici quale alternativa alla catastrofe.) Mesarovic e Pestel concludono inoltre che trasformazioni economiche del genere sono possibili soltanto « qualora si verifichino mutamenti di ordine fondamentale nei valori e nell’atteggiamento dell’uomo [o, per ricorrere alla mia terminologia, nell’orientamento caratterologico umano], come a esempio una nuova etica e un nuovo rapporto con la natura ». Sono affermazioni che confermano ciò che altri hanno detto prima e dopo la pubblicazione del rapporto di Mesarovic e Pestel, e cioè che una nuova società è possibile soltanto se, contemporaneamente al suo sviluppo, si verifica anche quello di un nuovo essere umano o, per usare termini meno altisonanti, se nella struttura caratteriale dell’uomo contemporaneo si determina una trasformazione di portata fondamentale.
Purtroppo, i due rapporti sono compilati secondo lo spirito della quantificazione, astrazione e spersonalizzazione, tanto caratteristici dell’epoca nostra, senza contare che trascurano completamente tutti i fattori politici e sociali, in assenza dei quali non è possibile elaborare alcun programma realistico. In compenso, forniscono dati preziosi, e per la prima volta vi si affronta la situazione economica della specie umana considerata come un tutto, con le sue possibilità e i suoi pericoli. La conclusione a cui i due studi approdano, vale a dire che sono necessari una nuova etica e un nuovo atteggiamento verso la natura, è tanto più degna di apprezzamento perché si tratta di un’esigenza del tutto contraria alle premesse filosofiche degli autori.
A un livello più alto si colloca E. F. Schumacher, che è un economista ma anche un umanista radicale. La sua richiesta di un profondo mutamento dell’essere umano si fonda su due argomenti, e cioè che il nostro attuale ordinamento sociale fa di noi altrettanti malati, e che ci stiamo dirigendo verso una catastrofe economica a meno di non operare una drastica trasformazione del nostro sistema sociale.
La necessità di un cambiamento dell’uomo non costituisce soltanto un’esigenza etica e religiosa, non è frutto unicamente di un’aspirazione psicologica derivante dalla natura patogena del nostro attuale carattere sociale, ma è anche la condizione per la mera sopravvivenza della specie umana.

 

Il vivere bene non rappresenta ormai più da un pezzo la soddisfazione semplicemente di un’esigenza di carattere etico o religioso: per la prima volta nella storia, la sopravvivenza fisica della specie umana dipende dalla radicale trasformazione del cuore umano. D’altro canto, una trasformazione del cuore umano è possibile solo a patto che si verifichino mutamenti economici e sociali di drastica entità, tali da offrire al cuore umano l’occasione per mutare e il coraggio e l’ampiezza di prospettive necessari per farlo.

C’è un’alternativa alla catastrofe?

Tutti i dati di fatto fin qui citati sono stati resi di pubblico dominio e sono ben noti. Ma si verifica un fatto quasi incredibile, ed è che nessun serio sforzo viene intrapreso per scansare quello che sembra un decreto senza appello del destino. Mentre a livello personale nessuno, a meno che non sia un pazzo, può rimanere indifferente testimone di una minaccia all’esistenza di tutti noi, coloro che sono investiti della responsabilità della pubblica amministrazione in pratica non muovono un dito, e quanti hanno affidato il proprio destino alle loro mani continuano a loro volta a non far nulla.
Come si spiega che il più forte tra tutti gli istinti, quello della sopravvivenza, abbia cessato di fungere da incentivo? Una delle spiegazioni più ovvie è che i leaders intraprendono molte iniziative che rendono loro possibile di fingere di operare efficacemente per evitare una catastrofe: conferenze senza fine, risoluzioni, trattative per il disarmo, sono tutte cose che concorrono a dare l’impressione che i problemi sono presi in considerazione e che si fa qualcosa per risolverli. Non accade nulla che abbia un’effettiva incidenza, ma ciò, non toglie che i leaders e coloro che ne sono guidati anestetizzino le proprie coscienze e la propria aspirazione alla sopravvivenza facendo credere di conoscere la strada e di procedere nella giusta direzione.
Un’altra spiegazione è che l’egoismo generato dal sistema induce i leaders ad apprezzare di più il successo personale che non la responsabilità sociale. Ormai non ci meravigliamo più di vedere uomini politici e dirigenti economici formulare decisioni che a prima vista sono a loro esclusivo vantaggio, ma che risultano insieme dannose e pericolose per la comunità. In effetti, se è vero che l’egoismo è uno dei pilastri dell’etica pratica del giorno d’oggi, perché costoro dovrebbero comportarsi diversamente? Essi sembrano ignorare che l’avidità – al pari della sottomissione – rimbecillisce gli individui, rendendoli incapaci persino di perseguire i loro veri interessi, come a esempio la preservazione delle loro stesse esistenze e delle vite di mogli e figli (cfr. J. R. Piaget, The Moral Judgment of the Child ). D’altro canto, il vasto pubblico è anch’esso a tal punto egoisticamente occupato da interessi privati, da prestare scarsa attenzione a tutto ciò che trascende l’ambito strettamente personale.

Un’altra spiegazione del decadimento del nostro istinto di sopravvivenza può essere ricercata nel fatto che i mutamenti del modo di vivere che sarebbero necessari sono di tale entità, da indurre la gente a preferire la catastrofe futura ai sacrifici immediati, un atteggiamento assai diffuso, di cui fornisce un eloquente esempio Arthur Koestler riferendo una esperienza toccatagli durante la guerra civile spagnola. Si trovava nella comoda villa di un amico, quando giunse notizia dell’avanzata delle truppe di Franco. Impossibile dubitare che sarebbero giunte già durante la notte, e con tutta probabilità avrebbero fucilato Koestler, il quale avrebbe potuto mettersi in salvo fuggendo subito. Ma la notte era fredda e piovosa, la casa calda e accogliente; ragion per cui rimase, venne fatto prigioniero, e solo molte settimane dopo, grazie agli sforzi di amici giornalisti, fu quasi miracolosamente salvato. È questo appunto il tipo di comportamento che si verifica in individui i quali rischiano di morire anziché sottoporsi a un controllo medico suscettibile di concludere con la formulazione della diagnosi di una malattia grave, richiedente un intervento chirurgico complesso.
A parte la spiegazione della fatale passività umana in questioni che riguardano la vita e la morte, ce n’è un’altra, ed essa costituisce il motivo per cui mi sono accinto a compilare questo libro. Intendo riferirmi all’opinione secondo la quale non avremmo alternativa ai modelli del capitalismo aziendale, del socialismo di marca socialdemocratica o sovietica oppure del « fascismo dal volto umano » di matrice tecnocratica. La vasta diffusione di questa tesi è in larga misura dovuta al fatto che ben pochi sforzi sono stati compiuti per sondare la possibilità di elaborare modelli sociali completamente nuovi e per metterli alla prova dell’esperienza. In realtà, finché i problemi della ricostruzione sociale non prenderanno, almeno in parte, il posto dell’interesse per la scienza e per la tecnica che occupano attualmente le migliori menti, la fantasia umana non sarà in grado di dar corpo a nuove e realistiche alternative.
Scopo principale di questo libro è l’analisi delle due basilari modalità d’esistenza: la modalità dell’avere e la modalità dell’essere. Nel primo capitolo si indicano brevemente le differenze tra esse; nel secondo, le si illustra dati alla mano, servendosi di esempi forniti dall’esperienza quotidiana e che il lettore può facilmente ricollegare alle sue esperienze personali; nel terzo, l’« avere » e l’« essere » sono specificati alla luce dell’Antico e del Nuovo Testamento e degli scritti di Maestro Eckart. I capitoli successivi affrontano il problema di maggior momento: l’analisi delle differenze tra le modalità esistenziali dell’avere e dell’essere e il tentativo di addivenire a conclusioni teoriche sulla base di dati empirici. Fino al punto testé indicato, il libro si occupa dunque soprattutto degli aspetti individuali delle due fondamentali modalità di esistenza, mentre i capitoli conclusivi trattano dell’incidenza che le modalità in questione hanno sulla formazione di un Uomo Nuovo e di una Società Nuova, prendendo in considerazione le possibilità di alternative per attenuare il malessere individuale e mettere freno ai catastrofici sviluppi socioeconomici in corso nel mondo intero.

 

Estratto da “Avere o Essere” di Erich Fromm